venerdì 5 settembre 2014

ALTRI ELEMENTI - FOOTBALL AMERICANO: L'INCOMPRENSIBILE MONDO DEL COLLEGE FOOTBALL

Il Football Americano fa il suo esordio sul blog nella categoria "Altri Elementi" grazie a Francesco Ciavattini, ex commentatore televisivo di football NCAA per Dahlia Tv, che ci accompagna alla scoperta del complicato meccanismo che regola il college football negli Stati Uniti.

Il mondo del college football (e più in generale dello sport collegiale) è quanto di più variegato il mondo sportivo americano possa offrire: praticamente ogni college/università ha il suo programma sportivo, ogni programma sportivo ha la sua squadra e ogni squadra ha bisogno di un campionato al quale partecipare, il tutto abbinato al concetto di promozione/retrocessione totalmente assente nello sport americano e ad una soglia piuttosto ristretta di partite di football giocabili (tra le 10 e le 20) da ragazzi che per lo più vanno dai 18 ai 22 anni, in uno sport così logorante come il football.



Questa moltitudine di squadre ha dapprima richiesto una suddivisione piuttosto grossolana, in base a grandezza del college stesso, potenza economica e possibilità di offrire o meno borse di studio: sostanzialmente le migliaia di università americane si dividono in Division I, Division II, Division III; questo per quel che riguarda i college iscritti alla NCAA (National Collegiate Athletic Association) ai quali vanno aggiunti quelli facenti parte ad altre due associazioni: i 255 iscritti alla NAIA (National Association of Intercollagiate Athletichs) e la NJCAA (Nation Junior College Athletic Association), quest'ultima in particolare è la raccolta degli oltre 500 community college e junior college dove, alle volte, finiscono a (non) studiare gli atleti più turbolenti di qualche college più "famoso", non avendo più i requisiti scolastici per restare iscritti nelle università facenti parti alla NCAA.

Torniamo proprio alla NCAA, eravamo rimasti alle 3 Division, la prima in particolare ci permette di addentrarci un po' di più nel concetto di "campionato nazionale": essa, infatti, è suddivisa ulteriormente in due "sottodivision": la FBS (Football BOWL Subdivision, prima nota come I-A) e la FCS (Football CHAMPIONSHIP Subdivision, prima nota come I-AA) e nella diversificazione stessa del nome è insita la spiegazione di questa separazione, nata nel 1978.

Prima di varcare la soglia del magico mondo dei bowl al quale partecipano sostanzialmente tutti i college più importanti, più blasonati e ricchi della nazione, è giusto approfondire la FCS e il suo sistema di assegnazione del titolo nazionale. Innanzitutto il punto di scissione è avvenuto proprio perché si sentiva la necessità di avere un torneo, ad eliminazione diretta, che potesse coinvolgere sempre il maggior numero di squadre meritevoli, si è iniziato nel 1978 con 4 partecipanti, sino alla versione attuale con un tabellone tennistico che prevede 24 squadre ed un periodo di gioco che va dal Thanksgiving (fine novembre) alla prima settimana di gennaio, attraverso 5 turni ad eliminazione diretta.

Le 125 squadre iscritte alla FCS sono suddivise in 13 conference, il calendario prevede un massimo di 8 partite contro squadre della stessa conference: parliamo di massimo perché ci sono conference che hanno più di 9 squadre (ad esempio la Big Sky), il che impedisce di scontrarsi annualmente contro tutti i rivali di conference. Il resto delle partite, per un massimo di 14 totali, varia da anno in anno, in base ad accordi che vengono presi nell'organizzare il calendario e viene giocato contro rivali extra conference ed in alcuni casi anche extra subdivision: non a caso le partite più memorabili sono proprio quelle che vedono squadre della FCS battagliare e vincere contro squadre molto più ricche e blasonate della FBS, il più classico dei Davide che batte Golia, elevato all'ennesima potenza.

Delle 13 conference, 11 qualificano direttamente le loro vincenti ai playoff: le 2 restanti si accontentano della regular season, in particolare la Ivy League si rifiuta di partecipare ai playoff per motivi....accademici. Infatti siamo davanti alla conference "dei cervelloni": Yale, Harvard, Princeton, Dartmouth, Brown, Penn, Cornell, Columbia, chi frequenta queste università difficilmente lo fa per meriti o motivi sportivi, evidentemente a loro non interessa poi confrontarsi più a larga scala per il titolo nazionale. Per la cronaca il titolo 2013 è stato co-assegnato ad Harvard e Princeton. L'altra conference a non partecipare alla post-season è la Southwestern Athletic Conference, che si auto-suddivide in 2 "gironi" da 5 squadre ed auto-definisce il suo campione con una finale tra i due college che vincono i loro rispettivi mini-gironi. Per completezza, sino all'anno scorso, pur senza rifiutare la partecipazione ai playoff a priori, anche la Pioneer Football League non ammetteva direttamente la sua vincente ai playoff e nessuna delle squadre facenti parti a questa conference era mai stata presa in considerazione per completare il tabellone dei playoff stessi. Nel 2013, finalmente una squadra della Pioneer (Butler) ha provato l'ebbrezza di partecipare alla post-season....e di perdere 31-0 il primo turno. Completano il quadro delle 125 squadre una manciata di università (l'anno scorso erano 6) che non fanno parte ad alcuna conference, le cosiddette "indipendent", che posso gestire come meglio credono il loro calendario, senza però avere la certezza di qualificazione automatica ai playoff, dovendo passare attraverso le forche caudine di quella che gli americani chiamano la qualificazione "at large".

Infatti fino a questo momento abbiamo parlato di 11 squadre automaticamente qualificate ed un tabellone a 24, le restanti 13 sono scelte in base al loro cammino, alle loro prestazioni, ovviamente anche in base alle loro vittorie, ma pesate anche tenendo conto alla forza degli avversari incontrati; lo so, è un termine di scelta un po' aleatorio, ma che è necessario quando si vanno a paragonare squadre che hanno avuto un calendario totalmente diverso, dove il singolo valore delle vittorie e delle sconfitte non può essere preso a paragone assoluto. Ad ogni modo poi, con gli scontri diretti, sarà il campo a determinare chi sarà il più forte tra le prescelte e le facenti parti al tabellone per qualificazione automatica, avendo vinto la propria conference.

Se il concetto di qualificazione per meriti "soggettivi" vi ha parzialmente disturbato, questo è il momento per prendere un attimo il fiato prima di leggere come agiscono in FBS: anche qui ci troviamo ad affrontare il problema di definire un campione nazionale (anzi IL campione nazionale, essendo la division più importante della NCAA) a fronte di un campionato che consta di 128 squadre (nel 2014), suddivise in 10 conference (comprese le 4 squadre non facenti parte a nessuna di esse, le indipendent anche qui). Il tutto senza utilizzare un sistema di playoff (almeno sino all'anno scorso).

La parola attorno alla quale gira tutto è "bowl": ovvero una partita, che assegna comunque un trofeo, alla quale si partecipa se invitati e fine a se stessa. Il primo a giocarsi risale al primo gennaio 1902, nominato "Tournament East-West football game", nonché il primo Rose Bowl della storia, tra Michigan (East) e Stanford (West) e vinto per 49-0 dai primi. Nel 2013 sono stati 35 i bowl giocati, ovviamente non tutti hanno lo stesso peso sportivo ed economico. Si passa dai 325mila dollari (per ogni partecipante) assegnato dal più povero "Famous Idaho Potato Bowl", ai faraonici bowl facenti parte dei 4 principali, che hanno una quota di partecipazione che supera i 15 milioni per team. Parliamo del Rose Bowl, il Fiesta Bowl, l'Orange Bowl e lo Sugar Bowl, ai quali, dal 2007 si è aggiunto anche il BCS Bowl. Fino a quella data infatti la finale nazionale, giocata tra le due migliori squadre della nazione, era una etichetta che aspettava ad uno di quei 4 bowl a seconda delle partecipanti.

Al Bowl si va per invito, ma vengono rispettate delle indicazioni di massima: restando ai principali quattro, per esempio, la vincente della conference Big Ten e la vincente della Pac-12 partecipano al Rose Bowl (non a caso Michigan e Stanford, le prime partecipanti, al primo Rose Bowl fanno parte proprio di queste conference), la vincente della Big 12 partecipa al Fiesta Bowl, la vincente della ACC partecipa all'Orange Bowl e la vincente della SEC partecipa al Sugar Bowl. Questo fino al 2007, quando appunto è stato aggiunto un bowl, ai suddetti 4, il BCS Bowl al quale partecipano le prime due della nazione, lasciando agli altri 4 bowl la possibilità di dividersi le altre migliori squadre, seguendo per lo più le stesse indicazioni di massima sopra descritta, in base alle vincenti delle principali conference tra le 10 facenti parti della FBS.

Ma chi decide quali squadre devono incontrarsi negli altri bowl? E soprattutto chi e come si decide quali sono le migliori due della nazione? Questo è l'aspetto più contraddittorio (a livello prettamente sportivo) e per certi versi più affascinante del college football. Innanzitutto le squadre devono raggiungere un record (ovvero il confronto tra vittorie e sconfitte) non negativo, essendo per lo più la stagione regolare composta da 12 o 13 partite, il tutto equivale a vincere almeno 6 partite nel primo caso, 7 nel secondo. Una volta raggiunto questo parametro, un college può essere invitato ad un bowl: in questi ultimi anni i bowl sono diventati così numerosi che raramente qualcuno degli aventi diritto resta fuori dalle selezioni, anche se questo, essendo comunque una partecipazione ad invito, non è da escludere a priori. Come avviene per i 4 bowl principali, anche per i bowl secondari le singole conference prendono accordi di massima con i vari bowl, che promettono l'invito di una squadra appartenente a tale conference nel caso ci fossero college provenienti da essa disponibili. Un rapido esempio: il St. Petersburg Bowl (uno dei bowl meno ricchi dal punto di vista del cache di partecipazione: 500k $ a squadra) è affiliato alla American Athletic Conference, che quindi manderà una sua rappresentante, la quale dovrà scontrarsi contro una squadra eleggibile proveniente o dalla ACC o dalla Conference USA, nel caso non fosse possibile, la Mid-Atlantic o la Sun Belt Conference, ad anni alterni, possono mandare una loro rappresentante disponibile. Chi saranno poi effettivamente le squadre atte a giocare il St. Petersburg Bowl, seguendo questi accordi monetari già presi, viene deciso da un comitato dirigenziale della NCAA.

Più si sale di importanza, più ovviamente la nomina ad un bowl rispetto ad un altro ha un certo peso sportivo ed economico e per definire le partecipanti, oltre ai vincoli di affiliazione, c'è bisogno di un ranking sul quale fare affidamento, perché, come già detto in apertura, è necessario confrontare squadre che non solo, molto spesso, in stagione non si sono mai scontrate tra loro, ma hanno affrontato avversari totalmente diversi. La situazione assume una rilevanza ancora maggiore se pensiamo che poi proprio da questo ranking a fine stagione verranno prese le prime 2 che si giocheranno, in partita secca, il titolo nazionale.

Il ranking esiste con costanza, all'interno del mondo collegiale, dal 1936 e nasce proprio da un bisogno più popolare che amministrativo della NCAA, in sostanza era il "tifoso" a sentire il bisogno di avere una classifica, a fine stagione, che fosse in grado di sancire quale fosse il college più forte, al college stesso già il fatto di partecipare al bowl e di vincerlo consegnava blasone e ricompensa economica e soprattutto chi organizzava (e organizza) i vari bowl non aveva necessità di dividere il proprio prestigio con gli altri, in sostanza avere un bowl più importante degli altri, atto ad assegnare il titolo nazionale, metteva in secondo piano tutte le altre partite. Il peso politico ed economico specie dei 4 bowl principali costruito grazie a questa mentalità è stato storicamente il più grande avversario della formazione di una sorta di playoff ed ha permesso per decenni l'immobilismo in questa situazione sportivamente poco chiara.

Ma torniamo al 1936: il "popolo" chiede, i media danno. Il ranking, sostanzialmente, è una votazione fatta dai giornalisti, per la precisione, nella sua ultima versione, da 65 giornalisti, tra carta stampata e televisione: ognuno ordina le proprie 25 miglior squadre (negli anni sono state anche 20 e per un quinquennio, dal 1962 al 1967, addirittura solo 10) e molto banalmente vengono assegnati 25 punti al primo, 24 al secondo fino ad 1 punto al 25esimo, c'è una somma di tutte le votazioni e c'è una classifica, che viene ripetuta settimana dopo settimana, una classifica che verosimilmente viene influenzata dai risultati che si susseguono e che a fine stagione sancisce (sanciva) la migliore squadra della stagione.

Lo scontro finale (quasi con accezione star-warsiana) tra la numero 1 e la numero 2 del ranking AP poll (poll = sondaggio, AP ovvero associated press, in parole povere la stampa) non era però così automatico, poteva accadere che qualcuno dei bowl prinicipali, stando alle loro affiliazioni, riuscisse ad organizzare "la finale", ma negli anni, specie per quanto detto sopra, agli organizzatori dei bowl la questione interessava il giusto.




























































































Benché fosse ritenuto "ufficiale" dalla gente, l'AP Poll nell'arco degli anni non è stato l'unico ranking pubblicato, in particolar modo affianco a quello dei giornalisti, sin dal 1950, abbiamo avuto il ranking stilato dagli allenatori (Coaches' Poll), un ranking che proprio per la sua natura assumeva una certa importanza anche comparabile a quello dei giornalisti e che in ben 11 occasioni ha rilasciato una numero 1 differente rispetto a quello dall'associated press.

L'inesistenza di una vera finale, assieme a ranking finali discordanti, a metà anni 90, iniziava ad avere un peso importante e suggeriva con sempre più veemenza di arrivare ad una soluzione per entrambi i paradossi. Nel 1997 è iniziata una lenta rivoluzione con l'introduzione del Bowl Championship Series (BCS), ovvero, innanzitutto, la necessità di avere una finale reale tra le due migliori squadre della nazione, una finale che sarebbe stata "ospitata" da uno dei 4 bowl più importanti a rotazione. Restava però da unificare i vari poll: l'idea fu quella di mantenerli comunque per non scontentare nessuno, ma anche di creare un ranking che tenesse conto sia dei due poll principali, sia di algoritmi, piuttosto complicati, che prendessero in considerazione avversari affrontati, punti di scarto delle vittorie e tanti altri fattori. Abbinando aspetto umano e aspetto matematico si pensava ogni controversia sarebbe stata spazzata via. E così grosso modo è stato sino al 2003, quando la luna di miele tra uomo e computer s'è bruscamente interrotta, con USC classificata come numero 1 a fine stagione dai due poll umani e relegata al terzo posto dal sistema computerizzato, che quindi mandò al bowl per il titolo nazionale (quell'anno lo Sugar Bowl) Oklahoma ed LSU (con quest'ultimi vincenti), mentre "relegò" USC al Rose Bowl (peraltro vinto contro la numero 4, Michigan). Ed eccoci di nuovo al paradosso, con l'AP Poll che confermò USC numero 1 dopo i bowl e il Coaches' Poll, che da contratto, fu obbligata a nominare campione nazionale la vincente dello Sugar Bowl. Il computer era stato chiamato in causa per mettere tutti d'accordo ed aveva fallito.

Il pasticcio si ripeté, pur se con connotati diversi, anche l'anno successivo e sancì la fine dell'AP poll come strumento utilizzato ufficialmente per la definizione del ranking (pur restando negli anni successivi comunque uno strumento preso in considerazione dall'opinione pubblica): il computer aveva vinto, gli algoritmi erano stati piano piano migliorati e c'era bisogno di un organo obiettivo in grado di classificare le squadre, pur preservando in parte la partecipazione di media, allenatori, ex giocatori: dal 2005 in poi l'unico Poll ufficiale preso in considerazione dalla NCAA è quello dell'Harris Interactive College Football Poll (almeno sino a quest'anno...). Basandosi comunque su dati stagionali, esso ha bisogno di un buon numero di partite prima di venire rilasciato, in effetti il primo "Harris Poll" esce nella seconda metà di ottobre, praticamente a metà stagione e, onde evitare incongruenze con i risultati definitivi dei bowl, non viene rilasciato dopo che questi sono stati disputati, in sostanza se la numero 2 batte la numero 1, lei è la campionessa nazionale, al di là del fatto che questa vittoria a livello di algoritmo non fosse bastata per superare la numero 1.

Tutto molto più semplice e ancora più nitido dal 2007, quando, oltre ai 4 bowl principali, è stato aggiunto il BCS Championship, ovvero il bowl giocato dalla numero 1 e dalla numero 2, con buona pace degli organizzatori dei bowl maggiori. Ma come avete potuto intuire leggendo qua e là questo articolo, questa non è più la situazione attuale, il 2014 rappresenta un ulteriore punto di svolta nel fin troppo variegato mondo del college football. Se la diatriba del 2003 (quella che vedeva coinvolta USC) ha portato a questa svolta "computerizzata", bisogna ricondurre alle 3 stagioni da imbattuti (2 terminate anche con la vittoria nel bowl) di Boise State come genesi di questo nuovo cambiamento.

Boise State è un college di seconda fascia, non appartiene ad una delle 5 conference principali e per questo motivo comunque poco considerata, sia dall'interesse della gente (e fin qui è umano), sia dagli algoritmi che proprio dovevano risultare più obiettivi. L'anno della discordia è il 2006, quando dopo una stagione straordinaria, in molti speravano che il college dell'Idaho venisse premiato con un tentativo per il titolo nazionale, così non fu (e mai è stato con questo Harris Poll che una squadra non appartenente alle conference principali giocasse il BCS Championship), accrescendo notevolmente il dubbio quando, nel Fiesta Bowl di quell'anno, Boise State ha battuto niente meno che gli Oklahoma Sooners, dando vita ad una delle partite collegiali più belle degli ultimi 15 anni. 

Ricordo come fosse oggi le polemiche successive a quella stagione dei bowl, in molti si chiedevano se fosse opportuno a quel punto giocare un fantomatico ultimo bowl tra Boise State e chi effettivamente aveva vinto il BCS Championship (nella fattispecie Florida batté piuttosto nettamente Ohio State, che entrava in finale come numero 1).

Il germe dei playoff era stato seminato. Il 2014 sarà la prima stagione in cui il titolo nazionale sarà assegnato dopo un (seppur minimo) tabellone "tennistico": si tratta di una final four, ovviamente a giudicarla in maniera obiettiva è un tentativo un po' maldestro che non vuole scontentare nessuno, a partire dalle grandi lobby che organizzano i bowl e gestiscono le conference principali, ma è comunque qualcosa di nuovo: primo punto di rottura, è stato pensionato il computer, niente più algoritmi, non un poll, ma un pool, di saggi. Saranno infatti in 13 a definire le 4 che saranno a giocarsi annualmente il titolo nazionale. Ma andiamo con ordine: ai 4 bowl principali, sono stati aggiunti altri due bowl (Cotton Bowl e Peach Bowl), questi 6 bowl, a rotazione, ospiteranno le due semifinali, ad esempio quest'anno Rose Bowl e Sugar Bowl, l'anno prossimo Orange e Cotton, e via così, i restanti 4 bowl annuali, non facenti parte del tabellone per il titolo nazionale, ospiteranno comunque le restanti squadre più importanti, al di fuori delle prime 4, preservando in parte la tradizione che vuole, per esempio, i migliori della Pac12 e della Big10 scontrarsi nel Rose Bowl, ove questo sarà possibile. La finale nazionale resterà una partita a sé stante (come avveniva con il BCS Championship) e sarà itinerante in giro per gli USA, un po' come avviene per il Super Bowl (quest'anno si giocherà all'AT&T Stadium, ovvero lo stadio dei Dallas Cowboys).

Ma chi sono questi 13 saggi? Due sono i nomi che spiccano subito all'occhio e di conoscenza comune, per motivi diversi. Il primo è quello di Condoleeza Rice, sì, quella Condoleeza Rice, segretario di stato degli Stati Uniti, durante il secondo mandato di George W. Bush e rettore dell'università di Stanford ad inizio anni 90; molto più sportivo, come habitat, il secondo nome "famoso", quello di Archie Manning, padre di Eli e Peyton e ancor prima buon giocatore a livello NFL ed ottimo a livello NCAA, se è vero che grazie alle sue prestazioni ad Ole Miss s'è conquistato l'ingresso nella Hall of Fame del college football. Per il resto troviamo un ex giornalista, un ex allenatore, ex dirigenti sportivi e una manciata di athletic director ancora in carica di alcune delle università più importanti (Arkansas, Wisconsin, West Virginia, Clemson, USC). Un lettore attento potrebbe già fare un appunto: "ma come "ancora in carica", ed il conflitto d'interessi?", obiezione accolta, ma s'era detto in poco fa, è una soluzione un po' cerchiobottista. In effetti questi saggi sembrano ben rappresentare le principali conference (le solite 5 più la nuova The American, ex Big East), mentre sono un po' dimenticate le conference secondarie, quelle che questa riforma, almeno a livello teorico, doveva in parte prendere maggiormente in considerazione.

Ma è inutile stare a fare dietrologia, lasciamo lavorare questi saggi e in base a quello poi potremmo giudicare in che direzione sta andando la rivoluzione. Saggi che peraltro hanno un contratto a tempo determinato (massimo 3 anni), che quindi potranno anche essere cambiati strada facendo. Questo nuovo formato è stato sancito con un accordo lungo 12 anni, avremo tempo e modo per giudicarlo, è altresì indubbio che una volta scoperchiato il vaso, la direzione sarà quella di aumentare il numero delle partecipanti e un costante abbandono dell'essenza insita nel bowl; ma non aspettiamoci una valanga, la rivoluzione sarà comunque lenta, specie se consideriamo che c'è voluto un secolo dalla nascita del primo bowl alla creazione di una finale tra le migliori due della nazione. Siamo passati attraverso ranking redatti da giornalisti, algoritmi infallibili che poi fallivano, polemiche tra diverse numero 1 a fine stagione, questa soluzione non credo eliminerà la polemica, perché se prima c'era una numero 3 che si lamentava per non essere invitata alla finale, ora ci saranno una numero 5 e una numero 6 che avanzeranno pretese per un viaggio ai "playoff" sfumato per poco. Niente è perfetto, tutto è migliorabile, se ne sono accorti anche nel granitico ed imperscrutabile mondo del college football, made in USA.

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